Ranke, Leopold von: Die römischen Päpste. Bd. 3. Berlin, 1836. al cardinal Farnese. guite, non si sarebbero condotte le cose in questi termini. Et mentre S. Sria volse fare due cose assai contrarie insieme, una mostrare di non haver fatto male ad esser venuto tanto inanzi overo non perdere le occasioni che gli pareva havere di gua- dagnare il tutto, l'altra di obbedire alli comandamenti dell' im- peratore, quali erano che in ogni modo si facesse accordo, non successe all' hora ne l'uno ne l'altro: perche S. Sria si trovo gabbata, che non potette fare quello che si pensava. Et tornando il signor Cesare con patti di far tregua per otto di, fintanto che venisse risposta se la Sigria di Venetia vi voleva entrare, quando arrivo in campo, trovo gli eserciti alle mani et non si ando per all' hora piu inanzi: salvo che non ostante questo successo et conoscendo certo che stassimo sicurissimi in Lombardia et in Toscana per le buone provisioni et infi- nita gente di guerra, che vi era di tutta la lega, et che le cose del reame non havessero rimedio alcuno come l'esperientia l'ha- veva cominciato a dimostrare, mai deponemmo dall' animo no- stro il desiderio et procuratione della pace. Et in esser suc- cesse le cose cosi bene verso noi, non havevamo altro contento se non poter mostrare che se desideravamo pace, era per vero giudicio et buona volunta nostra et non per necessita, et per mostrare all' imperatore che, se comando con buono ani- mo, come crediamo, al padre generale che ancorche tutto fusse preso a sua devotione si restituisse, che quel che ella si imaginava di fare quando il caso havesse portato di esserlo, noi essendo cosi in fatto lo volevamo eseguire. A questo no- stro desiderio ci aggiunsero un ardore estremo piu lettere scritte di mano dell' imperatore, tra l'altre due che in ultimo havem- mo da Cesare Fieramosca et da Paolo di Arezzo nostro servi- tore, le quali sono di tal tenore che non ci pareria havere mai errato se in fede di quelle lettere sole non solo havessimo po- sto tutto il mondo ma l'anima propria in mano di S. Mta; tanto ci scongiura che vogliamo dar credito alle parole che ne dice, et tutte esse parole sono piene di quella satisfattione di quelle promesse et quell' ajuto che noi a noi non lo desidera- vamo migliore. Et come in trattare la pace finche non eravamo sicuri che corrispondenza s'era per havere, non si rimetteva niente delle provisioni della guerra, cosi ci sforzavamo chiarirci bene et essendo due capi in Italia, Borbone et il signor vicere, s'era bisogno trattare con un solo et quello sarebbe rato per tutti, overo con tutti due particularmente: accioche se ci fusse avenuto quel che e, la colpa che e data d'altra sorte ad altri, non fusse stata a noi di pocca prudentia: et havendo trovato che questa faculta di contrattare era solo nel vicere, ce ne volemmo molto ben chiarire et non tanto che fussi cosi come in effetto il generale, il signor Cesare, il vicere proprio, Paulo d'Arezzo et Borbone ne dicevono, ma intender dal detto Borbone non una volta ma mille et da diverse persone se l'era per obbedirlo, et proposto di voler fare accordo particularmente con lui et recu- sando et affermando, che a quanto appuntarebbe el vicere non 17*
al cardinal Farnese. guite, non si sarebbero condotte le cose in questi termini. Et mentre S. Sria volse fare due cose assai contrarie insieme, una mostrare di non haver fatto male ad esser venuto tanto inanzi overo non perdere le occasioni che gli pareva havere di gua- dagnare il tutto, l’altra di obbedire alli comandamenti dell’ im- peratore, quali erano che in ogni modo si facesse accordo, non successe all’ hora nè l’uno nè l’altro: perche S. Sria si trovò gabbata, che non potette fare quello che si pensava. Et tornando il signor Cesare con patti di far tregua per otto dì, fintanto che venisse risposta se la Sigria di Venetia vi voleva entrare, quando arrivò in campo, trovò gli eserciti alle mani et non si andò per all’ hora piu inanzi: salvo che non ostante questo successo et conoscendo certo che stassimo sicurissimi in Lombardia et in Toscana per le buone provisioni et infi- nita gente di guerra, che vi era di tutta la lega, et che le cose del reame non havessero rimedio alcuno come l’esperientia l’ha- veva cominciato a dimostrare, mai deponemmo dall’ animo no- stro il desiderio et procuratione della pace. Et in esser suc- cesse le cose così bene verso noi, non havevamo altro contento se non poter mostrare che se desideravamo pace, era per vero giudicio et buona voluntà nostra et non per necessità, et per mostrare all’ imperatore che, se comandò con buono ani- mo, come crediamo, al padre generale che ancorche tutto fusse preso a sua devotione si restituisse, che quel che ella si imaginava di fare quando il caso havesse portato di esserlo, noi essendo così in fatto lo volevamo eseguire. A questo no- stro desiderio ci aggiunsero un ardore estremo piu lettere scritte di mano dell’ imperatore, tra l’altre due che in ultimo havem- mo da Cesare Fieramosca et da Paolo di Arezzo nostro servi- tore, le quali sono di tal tenore che non ci pareria havere mai errato se in fede di quelle lettere sole non solo havessimo po- sto tutto il mondo ma l’anima propria in mano di S. Mtà; tanto ci scongiura che vogliamo dar credito alle parole che ne dice, et tutte esse parole sono piene di quella satisfattione di quelle promesse et quell’ ajuto che noi a noi non lo desidera- vamo migliore. Et come in trattare la pace finche non eravamo sicuri che corrispondenza s’era per havere, non si rimetteva niente delle provisioni della guerra, così ci sforzavamo chiarirci bene et essendo due capi in Italia, Borbone et il signor vicerè, s’era bisogno trattare con un solo et quello sarebbe rato per tutti, overo con tutti due particularmente: accioche se ci fusse avenuto quel che è, la colpa che è data d’altra sorte ad altri, non fusse stata a noi di pocca prudentia: et havendo trovato che questa facultà di contrattare era solo nel vicerè, ce ne volemmo molto ben chiarire et non tanto che fussi così come in effetto il generale, il signor Cesare, il vicerè proprio, Paulo d’Arezzo et Borbone ne dicevono, ma intender dal detto Borbone non una volta ma mille et da diverse persone se l’era per obbedirlo, et proposto di voler fare accordo particularmente con lui et recu- sando et affermando, che a quanto appuntarebbe el vicerè non 17*
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al cardinal Farnese.
guite, non si sarebbero condotte le cose in questi termini. Et
mentre S. Sria volse fare due cose assai contrarie insieme, una
mostrare di non haver fatto male ad esser venuto tanto inanzi
overo non perdere le occasioni che gli pareva havere di gua-
dagnare il tutto, l’altra di obbedire alli comandamenti dell’ im-
peratore, quali erano che in ogni modo si facesse accordo,
non successe all’ hora nè l’uno nè l’altro: perche S. Sria si
trovò gabbata, che non potette fare quello che si pensava. Et
tornando il signor Cesare con patti di far tregua per otto dì,
fintanto che venisse risposta se la Sigria di Venetia vi voleva
entrare, quando arrivò in campo, trovò gli eserciti alle mani
et non si andò per all’ hora piu inanzi: salvo che non ostante
questo successo et conoscendo certo che stassimo sicurissimi
in Lombardia et in Toscana per le buone provisioni et infi-
nita gente di guerra, che vi era di tutta la lega, et che le cose
del reame non havessero rimedio alcuno come l’esperientia l’ha-
veva cominciato a dimostrare, mai deponemmo dall’ animo no-
stro il desiderio et procuratione della pace. Et in esser suc-
cesse le cose così bene verso noi, non havevamo altro contento
se non poter mostrare che se desideravamo pace, era per vero
giudicio et buona voluntà nostra et non per necessità, et per
mostrare all’ imperatore che, se comandò con buono ani-
mo, come crediamo, al padre generale che ancorche tutto
fusse preso a sua devotione si restituisse, che quel che ella si
imaginava di fare quando il caso havesse portato di esserlo,
noi essendo così in fatto lo volevamo eseguire. A questo no-
stro desiderio ci aggiunsero un ardore estremo piu lettere scritte
di mano dell’ imperatore, tra l’altre due che in ultimo havem-
mo da Cesare Fieramosca et da Paolo di Arezzo nostro servi-
tore, le quali sono di tal tenore che non ci pareria havere mai
errato se in fede di quelle lettere sole non solo havessimo po-
sto tutto il mondo ma l’anima propria in mano di S. Mtà;
tanto ci scongiura che vogliamo dar credito alle parole che ne
dice, et tutte esse parole sono piene di quella satisfattione di
quelle promesse et quell’ ajuto che noi a noi non lo desidera-
vamo migliore. Et come in trattare la pace finche non eravamo
sicuri che corrispondenza s’era per havere, non si rimetteva
niente delle provisioni della guerra, così ci sforzavamo chiarirci
bene et essendo due capi in Italia, Borbone et il signor vicerè,
s’era bisogno trattare con un solo et quello sarebbe rato per
tutti, overo con tutti due particularmente: accioche se ci fusse
avenuto quel che è, la colpa che è data d’altra sorte ad altri, non
fusse stata a noi di pocca prudentia: et havendo trovato che
questa facultà di contrattare era solo nel vicerè, ce ne volemmo
molto ben chiarire et non tanto che fussi così come in effetto il
generale, il signor Cesare, il vicerè proprio, Paulo d’Arezzo et
Borbone ne dicevono, ma intender dal detto Borbone non una
volta ma mille et da diverse persone se l’era per obbedirlo, et
proposto di voler fare accordo particularmente con lui et recu-
sando et affermando, che a quanto appuntarebbe el vicerè non
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