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Ranke, Leopold von: Die römischen Päpste. Bd. 3. Berlin, 1836.

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Relatione di Roma 1632--1635.

Clemente lo confermo nella medesima legatione di Francia: poi
lo fece cardinale, legato di Bologna, e ritornato a Roma pre-
fetto della signatura di giustitia, carico d'onore et impiego ben
grande. Finalmente del 1623 fu in luogo di Gregorio XV con
pratiche molto artificiose assonto al pontificato nell' eta sua di
56 anni: et oggi corre il XIII anno: con disgusto di tutta la
corte, alla quale non meno che ai principi torna conto i pon-
tificati brevi, perche tanto piu tengono conto di tutti, abbon-
dano nelle gratie, non temporalizzano come se fossero hereditarj
del papato; e finalmente la corte in generale trova impiego e
fortuna nella frequenza delle mutationi.

In ogni stato hebbe il papa di se stesso grande opinione
con affetti di dominio sopra gli altri e disprezzo al consiglio di
tutti. Par ch'egli esercita oggidi tanto piu liberamente quanto
che si ritrova in posto sopra a tutti eminente. Ha ingegno grande,
ma non giudicio: ingegno, perche nelle cose che da lui solo di-
pendono e che riguardano la sua persona e casa, si e sempre
condotto ove ha desiderato, senza omettere gl'inganni e gli ar-
tificii di lui molto connaturali, come si vide particolarmente
nelle pratiche del suo papato, nelle quali seppe far convenire
nella sua persona le due fattioni contrarie di Borghese e Ludo-
visio, solo col far credere all' una d'esser inimico dell' altra:
negli affari poi generali, nei quali si richiede il giudicio di sa-
per ben congiungere gl'interessi della sede apostolica con quelli
degli altri principi, si e osservato il papa esserne per sempre
stato manchevole. Tale lo dichiarano il negotio di Valtellina;
la guerra di Mantova, che non sarebbe seguita se il papa si
fosse dichiarito contro il primo innovatore; la perdita di Man-
tova, attribuita ai viveri che riceverono gli Alemani dallo stato
ecclesiastico, senza quali conveniva loro o disassediarla o mo-
rirsi; la prefettura di Roma data al nipote, privando la sede
apostolica dell' assistenza di tanti ministri di principi che sono
il piu bel fregio di lei, et aggravando lo stesso nipote d'invidia,
di riguardi e d'un posto assolutamente insostentabile dopo la
morte del pontefice; il mal termine usatosi contro l'ambasciatore
di V. Serenita mio precessore, lasciandolo partire senza sod-
disfattione; l'ultima comprotettione di Francia nel cardinale An-
tonio nipote prima persuasa et acconsentita, poi ritrattata e pro-
hibita, con nota appresso il mondo di grande artificio, per non
dire inganno, e con divisione della propria casa. Tralascio il
gran detrimento che sotto il presente pontefice ha fatto la reli-
gione cattolica in Fiandra et Alemagna; i pericoli all' Italia per
la negata dispensa al duca di Mantova, e molto piu per aversi
portato il papa in modo che ha disgustato tutti i principi grandi
e piccioli, che nessuno gli e amico: onde si e reso incapace di
poter esercitar con essi loro quelle parti di autorita e di pa-
terno consiglio che potrebbe pacificarli et unirli insieme alla di-
fesa della religione: parti che sono state cosi esattamente ma-
neggiate e conosciute proprie de' pontefici che per sostenere il
nome di padre comune, dal quale proviene loro ogni veneratione,

Relatione di Roma 1632—1635.

Clemente lo confermò nella medesima legatione di Francia: poi
lo fece cardinale, legato di Bologna, e ritornato a Roma pre-
fetto della signatura di giustitia, carico d’onore et impiego ben
grande. Finalmente del 1623 fu in luogo di Gregorio XV con
pratiche molto artificiose assonto al pontificato nell’ età sua di
56 anni: et oggi corre il XIII anno: con disgusto di tutta la
corte, alla quale non meno che ai principi torna conto i pon-
tificati brevi, perche tanto più tengono conto di tutti, abbon-
dano nelle gratie, non temporalizzano come se fossero hereditarj
del papato; e finalmente la corte in generale trova impiego e
fortuna nella frequenza delle mutationi.

In ogni stato hebbe il papa di se stesso grande opinione
con affetti di dominio sopra gli altri e disprezzo al consiglio di
tutti. Par ch’egli esercita oggidì tanto più liberamente quanto
che si ritrova in posto sopra a tutti eminente. Ha ingegno grande,
ma non giudicio: ingegno, perche nelle cose che da lui solo di-
pendono e che riguardano la sua persona e casa, si è sempre
condotto ove ha desiderato, senza omettere gl’inganni e gli ar-
tificii di lui molto connaturali, come si vide particolarmente
nelle pratiche del suo papato, nelle quali seppe far convenire
nella sua persona le due fattioni contrarie di Borghese e Ludo-
visio, solo col far credere all’ una d’esser inimico dell’ altra:
negli affari poi generali, nei quali si richiede il giudicio di sa-
per ben congiungere gl’interessi della sede apostolica con quelli
degli altri principi, si è osservato il papa esserne per sempre
stato manchevole. Tale lo dichiarano il negotio di Valtellina;
la guerra di Mantova, che non sarebbe seguita se il papa si
fosse dichiarito contro il primo innovatore; la perdita di Man-
tova, attribuita ai viveri che riceverono gli Alemani dallo stato
ecclesiastico, senza quali conveniva loro o disassediarla o mo-
rirsi; la prefettura di Roma data al nipote, privando la sede
apostolica dell’ assistenza di tanti ministri di principi che sono
il più bel fregio di lei, et aggravando lo stesso nipote d’invidia,
di riguardi e d’un posto assolutamente insostentabile dopo la
morte del pontefice; il mal termine usatosi contro l’ambasciatore
di V. Serenità mio precessore, lasciandolo partire senza sod-
disfattione; l’ultima comprotettione di Francia nel cardinale An-
tonio nipote prima persuasa et acconsentita, poi ritrattata e pro-
hibita, con nota appresso il mondo di grande artificio, per non
dire inganno, e con divisione della propria casa. Tralascio il
gran detrimento che sotto il presente pontefice ha fatto la reli-
gione cattolica in Fiandra et Alemagna; i pericoli all’ Italia per
la negata dispensa al duca di Mantova, e molto più per aversi
portato il papa in modo che ha disgustato tutti i principi grandi
e piccioli, che nessuno gli è amico: onde si è reso incapace di
poter esercitar con essi loro quelle parti di autorità e di pa-
terno consiglio che potrebbe pacificarli et unirli insieme alla di-
fesa della religione: parti che sono state così esattamente ma-
neggiate e conosciute proprie de’ pontefici che per sostenere il
nome di padre comune, dal quale proviene loro ogni veneratione,

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[425/0437] Relatione di Roma 1632—1635. Clemente lo confermò nella medesima legatione di Francia: poi lo fece cardinale, legato di Bologna, e ritornato a Roma pre- fetto della signatura di giustitia, carico d’onore et impiego ben grande. Finalmente del 1623 fu in luogo di Gregorio XV con pratiche molto artificiose assonto al pontificato nell’ età sua di 56 anni: et oggi corre il XIII anno: con disgusto di tutta la corte, alla quale non meno che ai principi torna conto i pon- tificati brevi, perche tanto più tengono conto di tutti, abbon- dano nelle gratie, non temporalizzano come se fossero hereditarj del papato; e finalmente la corte in generale trova impiego e fortuna nella frequenza delle mutationi. In ogni stato hebbe il papa di se stesso grande opinione con affetti di dominio sopra gli altri e disprezzo al consiglio di tutti. Par ch’egli esercita oggidì tanto più liberamente quanto che si ritrova in posto sopra a tutti eminente. Ha ingegno grande, ma non giudicio: ingegno, perche nelle cose che da lui solo di- pendono e che riguardano la sua persona e casa, si è sempre condotto ove ha desiderato, senza omettere gl’inganni e gli ar- tificii di lui molto connaturali, come si vide particolarmente nelle pratiche del suo papato, nelle quali seppe far convenire nella sua persona le due fattioni contrarie di Borghese e Ludo- visio, solo col far credere all’ una d’esser inimico dell’ altra: negli affari poi generali, nei quali si richiede il giudicio di sa- per ben congiungere gl’interessi della sede apostolica con quelli degli altri principi, si è osservato il papa esserne per sempre stato manchevole. Tale lo dichiarano il negotio di Valtellina; la guerra di Mantova, che non sarebbe seguita se il papa si fosse dichiarito contro il primo innovatore; la perdita di Man- tova, attribuita ai viveri che riceverono gli Alemani dallo stato ecclesiastico, senza quali conveniva loro o disassediarla o mo- rirsi; la prefettura di Roma data al nipote, privando la sede apostolica dell’ assistenza di tanti ministri di principi che sono il più bel fregio di lei, et aggravando lo stesso nipote d’invidia, di riguardi e d’un posto assolutamente insostentabile dopo la morte del pontefice; il mal termine usatosi contro l’ambasciatore di V. Serenità mio precessore, lasciandolo partire senza sod- disfattione; l’ultima comprotettione di Francia nel cardinale An- tonio nipote prima persuasa et acconsentita, poi ritrattata e pro- hibita, con nota appresso il mondo di grande artificio, per non dire inganno, e con divisione della propria casa. Tralascio il gran detrimento che sotto il presente pontefice ha fatto la reli- gione cattolica in Fiandra et Alemagna; i pericoli all’ Italia per la negata dispensa al duca di Mantova, e molto più per aversi portato il papa in modo che ha disgustato tutti i principi grandi e piccioli, che nessuno gli è amico: onde si è reso incapace di poter esercitar con essi loro quelle parti di autorità e di pa- terno consiglio che potrebbe pacificarli et unirli insieme alla di- fesa della religione: parti che sono state così esattamente ma- neggiate e conosciute proprie de’ pontefici che per sostenere il nome di padre comune, dal quale proviene loro ogni veneratione,

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Zitationshilfe: Ranke, Leopold von: Die römischen Päpste. Bd. 3. Berlin, 1836, S. 425. In: Deutsches Textarchiv <https://www.deutschestextarchiv.de/ranke_paepste03_1836/437>, abgerufen am 25.11.2024.